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  • Foto al Museo: Un’Odissea tra Pixel e Capolavori a Londra

    Foto al Museo: Un’Odissea tra Pixel e Capolavori a Londra

    Questi ultimi due miei giorni londinesi, dopo un iniziale periodo dedicato al lavoro, avrebbero dovuto essere un’immersione profonda nell’arte, un pellegrinaggio tra le sale maestose del British Museum e della National Gallery. Invece, si sono trasformati in una battaglia silenziosa contro un nemico onnipresente e, a mio avviso, sempre più fastidioso: la mania compulsiva di fotografare qualsiasi cosa, a qualsiasi costo.

    Non fraintendetemi, amo la fotografia. Ma c’è un limite, un confine che, ahimè, sembra essere stato completamente annullato all’interno di questi templi dell’arte. Ogni angolo, ogni opera, ogni installazione è assediata da un’orda di omnipresenti smartphone.  La scena è quasi surreale: file interminabili di persone che, invece di contemplare un’opera d’arte, la inquadrano freneticamente, premendo il pulsante dello scatto più e più volte.

    Il risultato? Foto pessime. Sfuocate, sovraesposte, storte, con flash spesso dimenticati accesi nonostante i divieti espliciti. Ma ciò che più mi irrita è l’assoluta inutilità di questo gesto. Se si desiderasse una riproduzione di qualità di un capolavoro, basterebbe un click sul sito web del museo, una consultazione dei cataloghi online o l’acquisto di una delle splendide pubblicazioni disponibili nei bookshop. Queste ultime, per inciso, offrono immagini di altissima risoluzione, scattate da professionisti in condizioni ottimali, prive di folle sullo sfondo e di riflessi indesiderati.

    La frustrazione non è solo per la bassa qualità delle immagini prodotte, ma anche per la distrazione che questa pratica genera. Le persone non guardano, non osservano, non riflettono. Si limitano a puntare un obiettivo, a scattare e a passare alla prossima opera, come se la visita al museo fosse una caccia al tesoro di scatti da condividere sui social. Si perde il contatto viscerale con l’opera, la possibilità di lasciarsi travolgere dalla sua bellezza, dalla sua storia. La connessione autentica con l’arte viene sacrificata sull’altare di un ricordo digitale effimero e di scarsa qualità.

    E le regole? Ah, le regole! Ogni museo le espone chiaramente: “No flash”, “Per favore, non fotografare le opere”. Ma ormai sono diventate semplici decorazioni, ignorate dalla stragrande maggioranza dei visitatori. E, cosa ancora più sconcertante, raramente ho visto personale del museo intervenire per farle rispettare. Sembra che la battaglia sia stata persa, che si sia accettato questo dilagare di “paparazzi” dell’arte.

    Mi chiedo: cosa rimane dell’esperienza museale quando è filtrata attraverso lo schermo di un telefono? E ancora: cosa si cerca veramente immortalando un’opera in questo modo frettoloso e superficiale? Forse la risposta è nel bisogno irrefrenabile di documentare la propria presenza, di mostrare al mondo “Io c’ero”. Ma a quale prezzo? Il prezzo di un’esperienza impoverita, di una connessione mancata, di un’opera d’arte che, per molti, non è più un oggetto di contemplazione, ma solo un soggetto da fotografare.

    Eppure lo smartphone è diventato uno strumento potentissimo e quasi indispensabile per furire pienamente (e in modo autonomo ed economico) della visita: l’acquisto dell’audio guida che ormai ogni museo offre è di norma la mia seconda scelta, quando sono “di corsa” e non posso cogliere l’opportunità di fruire di una guida umana: questo tipo di esperienza, in effetti, è quella che preferisco ma non sempre ho la possibilità di prenotarla in tempo. L’ardore e l’interpretazione della mostra e delle opere che gli incaricati alla guida sanno dare all’esperienza è unica e molto coinvolgente (ovviamente se la guida è brava, ma devo dire che sono stato sempre piuttosto fortunato).

    L’ardore e la passione del personale che lavora in questi musei scaturisce ogni volta che si ha l’occasione di scambiare qualche parola con loro: proprio oggi, chiedendo chiarimenti su di un’opera ad uno degli incaricati di sala, ho avuto l’opportunità di intraprendere una lunga e interessantissima conversazione su Piero della Francesca e la sua terra natale (che conosco molto bene data la mia precedente esperienza sul progetto “Le terre di Piero” quando lavoravo per l’ente del turismo).

    Ricordo ancora con divertimento la mia ultima visita guidata al museo Picasso di Barcellona dello scorso febbraio, quando ebbi la fortuna di trovarmi da solo nel percorso guidato che avevo prenotato online (gli altri 9 membri del gruppo non si erano presentati) e la mia visita con Manuel, la guida che mi era stata assegnata, si trasformò in una excursus fra la storia e l’arte con il mio nuovo amico moderno Virgilio, che mi punzecchiava con domande ed indovinelli (confesso che pur non sapendo praticamente nulla di arte, me la sono cavata benino con le risposte 😎).

    Tornando a Londra, vi segnalo comunque che alcuni musei offrono delle utilissime app per smartphone: ad esempio la National Gallery propone una webapp che oltre ad un’audio guida delle opere su alcuni percorsi predefiniti, fornisce una interessante funzione “scan” che permette di inquadrare qualsiasi opera live e ricevere un dettaglio e informazioni tramite pagine del sito del museo.

    L’app del British Museum si scarica invece dagli store e permette di ricevere informazioni solo sulle opere mappate nella guida, che sono una minima parte (ma le più rilevanti) fra quelle presenti nella enorme collezione

    Come potete notare dagli screen che ho allegato, entrambe sono dotate di una versione localizzata in italiano per chi preferisce ascoltare la descrizione nella propria lingua.

    Pertanto lo smartphone e la rete wifi (che è sempre presente dentro ai due musei, gratuita ed aperta, senza richiedere complesse procedure di registrazione) sono strumenti che non si deve vietare all’interno dei musei ma anzi favorire con l’addozione di nuove applicazione di realtà aumentata e approfondimento immersivo, mentre andrebbero limitate le attività finalizzate a generare questa montagna di “imondizia digitale”.

    Spero che un giorno si possa tornare a visitare i musei con la lentezza e la profondità che meritano, liberi dall’ossessione dello scatto perfetto (e inutile). Fino ad allora, continuerò a godermi l’arte con i miei occhi, lasciando che le immagini, quelle vere, si imprimano nella mia mente, non nella memoria di un telefono…

    poi un sefie fuori dalle sale del museo non lo si nega a nessuno 😇